Chi crea i Cerchi nel Grano? Il fenomeno dei Crop Circles è reale? Per scoprirlo Pablo Ayo e Alessia Serafin nel 2012 si sono recati in Inghilterra, nel Wiltshire, dove hanno visitato quattro diverse formazioni, raccogliendo informazioni e testimonianze. A poca distanza da Stonehenge e dai luoghi sacri dei Celti, nelle zone più sperdute della campagna inglese, strane forze sembrano muoversi non viste tra le spighe di grano.
Di Pablo Ayo
Tornare in Inghilterra è sempre in qualche modo un ritorno a casa, e non solo per chi ha origini britanniche. La Gran Bretagna, è un luogo dell’anima, sopratutto al sud, nel Wiltshire, dove tra vecchi cottage in malta bianca e tetti di paglia sembra di vivere uno strano episodio della saga di Tolkien. Meno romantica e comoda è la guida a sinistra sulla strade inglesi, ma l’esperienza ci ha insegnato che è impossibile riuscire a visitare i cerchi nel grano senza noleggiare un’automobile.
Difatti, contrariamente a quanto molti possono pensare, non c’è nessuna struttura organizzata che ti porta alla scoperta di questo misterioso fenomeno locale, che avviene quasi sempre in luoghi dove nessun autobus si sognerebbe mai di passare. Dall’aeroporto di Gatwick dunque spingiamo l’acceleratore dritti verso la nostra prima tappa: Salisbury, 150 km che riusciamo a coprire in un paio d’ore.
Arriviamo al nostro B&B, il City Lodge. Posiamo i bagagli e dopo una rapida rinfrescata decidiamo di andare a mangiare qualcosa al The King’s Head Inn, dal quale possiamo ammirare i cigni passare nel fiume sottostante. Il pomeriggio visitiamo la Cattedrale di Salisbury, una delle più belle e antiche d’Inghilterra, che a qualcuno potrebbe ricordare quella descritta da Ken Follett ne I pilastri della terra (che in effetti si ambientava nel Wiltshire). Il giorno dopo, il 9 agosto, ci rechiamo alla vicina Stonehenge. Anche se l’avevamo già vista due anni prima, rimane uno spettacolo da non perdere.
Marlborough
Il giorno dopo passiamo la mattinata a girare un po’ per la città, poi nel pomeriggio prepariamo tutto e ci congediamo dal City Lodge. È tempo di salutare Salisbury con il suo centro storico medievale e di recarci a nord, verso Marlborough. Dista appena 50 km, e dopo un’oretta circa vediamo l’inconfondibile sagoma della torre campanaria della vecchia chiesa locale. Anche se è solo un piccolo centro urbano piantato nel mezzo delle campagne del Wiltshire, Marlborough può vantare vari negozi, una classica sala da té con tanto di cameriere con grembiule e cuffietta, una loggia massonica (la Wesley Hall), un vecchio mercato risalente al medioevo e persino un famoso college per ricchi teenager che ricorda vagamente la scuola Hogwart di Harry Potter. Ma sopratutto la cittadina è nota per il suo migliore pub, il Green Dragon, simile a una vecchia taverna che ci ospiterà nelle sue stanze superiori per i giorni a venire. La gentilissima proprietaria ci fa accomodare in una stanza pulita e ordinata molto caratteristica, con travi a vista e pavimenti in legno. Una volta sistemate le nostre cose, studiamo le mappe del Wiltshire per capire come muoverci il giorno dopo. Grazie ai dati accessibili dal sito http://www.cropcircleconnector.com, ci è stato possibile individuare e scegliere i cerchi nel grano più interessanti nei dintorni della nostra base operativa. Quello che sfugge a chi ha voglia di vivere l’esperienza del contatto con il grano disegnato da forze invisibili, è la difficoltà nella localizzazione esatta dei pittogrammi. Difatti non ci sono né indicazioni, né scorciatoie: per scoprire l’emozione dei crop bisogna camminare anche per ore.
Avebury
Il giorno seguente, 12 agosto, ci svegliamo di buon’ora. Decidiamo di recarci ad Avebury, un antico circolo di pietre simile a Stonehenge (ma molto più largo) all’interno delle quali è stato costruito, nei secoli, un piccolo villaggio. Una visita al The Henge Shop, l’unico negozietto locale, è dovuta, oltre che funzionale, difatti ripariamo lì da un acquazzone estivo giunto senza preavviso. La pausa è comunque gradita: il negozio, oltre i soliti ninnoli, vende volumi fantastici su crop circles, UFO e storie paranormali. Veniamo a sapere che un cerchio è apparso di recente appena fuori dal circolo di pietre che delimita la piccola cittadina. Facendo un po’ di acrobazie tra collinette erbose e palizzate di legno, riusciamo ad entrare, zuppi di fango, nel campo, dopo esserci sincerati che non esistano divieti. Affisso al cancello c’era un avviso del fattore locale che chiedeva ai visitatori, a parziale risarcimento del grano perduto per via dei cerchi, di lasciare qualche penny (o il più gradito pound) nella “courtesy box”, una cassetta di legno in cima a un palo presente ai margini del campo. Operazione impensabile in Italia, dove molto probabilmente la cassetta sarebbe stata ripetutamente svuotata da qualche anima pia. Nella vecchia Inghilterra invece tutti mettono religiosamente la propria monetina nella scatola senza sognarsi di scassinarla. Il crop è molto bello, si tratta di tre semicerchi a grandezza crescente che aggirano un cerchio principale. Tuttavia notiamo alcune cose che non ci convincono appieno: imprecisioni nelle proporzioni del simbolo disegnato, il grano girato in maniera poco fluida (tanto da apparire più calpestato che piegato), i nodi tra le sezioni del gambo della spiga integri e non gonfi. E poi non si avverte quello strano brivido che ti prende, senza preavviso, quando ti trovi all’interno di un cerchio di origine non umana. Un po’ stanchi, bagnati (ha piovigginato tutto il tempo) ma felici, torniamo a Marlborough. Dopo un tè caldo facciamo il punto della situazione: non abbiamo indicazioni geografiche precise sull’ubicazione dei crop più interessanti, nei siti web la loro locazione è descritta in maniera approssimativa. L’unica soluzione è il Barge Inn.
Il Barge Inn
E così il 13 agosto, dopo una ricca colazione a base di uova e pancetta, ci rechiamo nei pressi di Alton Barnes, dove la A48 interseca il canale fluviale Kennet & Avon. Proprio sulla sponda del canale si erge il vecchio pub The Barge Inn, famoso punto di ritrovo e di coordinamento di tutti i cacciatori di cerchi nel grano del sud d’Inghilterra. Là, ordinando un ennesimo té caldo con muffin ai mirtilli, possiamo studiare l’aggiornatissima mappa dei crop circles appesa al muro: i cerchi di quest’anno sono segnati in giallo e contraddistinti da un numero. A fianco della mappa c’è una bacheca con tutte le foto dei crop più recenti, numerati per ordine. Prendiamo la nostra mappa e segniamo con la matita il punto esatto dove sorgono i crop che ci interessano. Come immaginavamo, quelli più belli si trovano sperduti nelle campagne, raggiungibili solo con lunghe tratte a piedi. Ripieghiamo la mappa, beviamo l’ultimo sorso di té e partiamo. Dopo un quarto d’ora ci ritroviamo nei pressi della Milk Hill, una collinetta nel nulla posta tra Alton Barnes e Devizes. Parcheggiamo e facciamo una triangolazione con la mappa e con i riferimenti visivi: dobbiamo tenerci a ovest della collina (riconoscibile tra l’altro per il caratteristico cavallo bianco sagomato con la calce sul fianco) e andare dritti per circa un paio di km. Carico lo zaino con nostro figlio sulle spalle e ci avventuriamo. È nuvolo, speriamo che non piova, anche se abbiamo k-way e impermeabili sempre con noi. La marcia di una mezz’ora è scomoda, il terreno è ancora umido di pioggia e il fango ci rallenta i movimenti. Ma alla fine veniamo premiati, e ci ritroviamo al centro di un bellissimo crop, largo all’incirca un centinaio di metri.
È un cerchio che include al suo interno una spirale a sei braccia. Standoci dentro si respira una sensazione di pace e serenità. Nessuno in vista, solo noi ed il vento. Analizziamo il grano, il crop sembra autentico. Ci viene in mente che salendo un tratto della collina potremmo vedere il cerchio dall’alto e apprezzarne la forma. Saliamo, non senza fatica, i solchi tra i campi di grano sono pieni di sassi e zolle smosse. Ma quando alla fine ci voltiamo, l’emozione è grande: eccolo là, sembra davvero l’impronta di un disco volante, anche se sappiamo che a formare quelli autentici non sono dischi ma sfere di luce, o in taluni casi vortici di energia. Facciamo un po’ di foto, poi inizia a piovigginare e decidiamo di tornare prima che il terreno diventi impraticabile. Rientriamo in auto appena in tempo: la pioggia diventa fitta e fredda, impossibile visitare il prossimo crop, che si trova nei pressi della vicina Devizes. Sono quasi le tre e così decidiamo di rifocillarsi a un pub molto vicino alla nostra meta, che sorgendo di fronte a un vecchio ponte si chiama giustamente The Bridge. Dopo esserci rinfrancati con un riso ai funghi e spinaci e una pinta di birra, tentiamo di avvicinarci al crop, visto che ormai ha smesso di piovere. Prendiamo la Coate Lane e poi all’altezza di un maneggio ci inerpichiamo per una stradina di campagna fangosa e piena di solchi lasciati in precedenza da altre vetture, verosimilmente jeep. Dopo cento metri (e due rischi di impantanamento nel fango) siamo costretti a fare dietro front: la nostra macchina non è adatta. Proviamo ad avvistare il crop salendo su un muretto ma niente, deve essere dietro la collina coltivata a grano. Riprende anche a piovere, niente escursioni per oggi. Un po’ delusi e infangati torniamo a Marlborough e studiamo i percorsi per il giorno seguente davanti a una tazza di té fumante.
La tana del diavolo
La mattina del 14 agosto il sole fortunatamente torna a splendere. Approfittiamo della bellissima mattinata per visitare un crop sorto nei pressi del Devil’s Den, nomignolo inquietante affibbiato dalla comunità locale a uno stupendo dolmen (in verità è la rimanenza di un lungo tumulo) risalente al neolitico, sito appena fuori Marlborough. Il crop in questione è apparso proprio la notte precedente e dovrebbe essere ancora integro. Lasciamo la macchina sulla Bath Road e ci intrufoliamo in uno stretto viottolo fangoso ancora umido per la pioggia del giorno prima. Dopo un km o poco più di marcia a rischio scivolamento tra le pozzanghere, riusciamo a trovare il suggestivo dolmen, e a poche centinaia di metri sul fianco di una collinetta ci appare il crop. Il fenomeno non interessa solo noi: mentre siamo lì, due elicotteri militari Chinook della RAF sorvolano ripetutamente la zona. Ci avviciniamo. Una mezza dozzina di persone ha appena visitato la formazione e ci saluta mentre esce dal cerchio. Che a dire la verità, cerchio non è: difatti l’agioglifo in questione è di forma rettangolare, diviso orizzontalmente da una lunga linea seghettata, incisa lateralmente da delle linee verticali. Il crop ci lascia interdetti. È bruttino, piccolo di dimensioni, impreciso nelle proporzioni e non difficile da fare per un falsario. Il grano sembra calpestato e non piegato, i nodi delle spighe sono regolari. Prendiamo qualche campione di grano, facciamo qualche foto e ce ne andiamo, più soddisfatti della visita al dolmen che per il crop.
L’ultimo giorno
Sappiamo bene che è il nostro ultimo giorno, domani dobbiamo ripartire. Decidiamo di visitare un’altra bellissima formazione apparsa a Windmill Hill, presso Avebury. Facciamo il punto sulla mappa, poi dopo un estenuante giro per viuzze di campagna e villaggi fantasma composti da sole tre – quattro case, troviamo il cancello del campo di grano. Ma è chiuso, e non conviene scavalcarlo: un cartello improvvisato recita un eloquente “private – keep out” (proprietà privata – state alla larga) seguito da “il crop circle è stato distrutto”. Non me la sento di rischiare una denuncia per sincerarmi della veridicità dell’affermazione, in Inghilterra sono molto severi con chi viola le leggi.
Risaliamo scornati in macchina, delusi per la batosta. Poi il colpo di genio: ormai erano le 13.30, e dopo una mattinata di sole probabilmente il campo vicino a Devizes dovrebbe essersi asciugato. Non abbiamo pranzato, così entriamo a Devizes e ci prendiamo un hamburger con patate e l’immancabile pinta di birra, lasciando al sole altro tempo per asciugare di più l’odiato fango. Il sole è incredibilmente caldo, troppo per metterci a camminare dopo mangiato. Ne approfittiamo per visitare la chiesetta locale e fare shopping.
Verso le 16,00 riprendiamo la macchina e troviamo di nuovo la stradina di campagna: per quanto più asciutta, la macchina scivola ugualmente sul terreno. Però a piedi è praticabile. Scendiamo. Facendo il punto sulla mappa ci rendiamo conto che è una bella camminata di un paio di km. Zaino in spalla e andiamo. Arrivati a un incrocio tra quattro campi diversi non vediamo nessun crop, eppure secondo i calcoli dovrebbe trovarsi nella parte nord-ovest del campo alla nostra sinistra. Ci avventuriamo nel grano alto, procedendo a intuito e per calcoli approssimativi. Il GPS del cellulare mi conferma che il posto è giusto, ma dov’è il cerchio? Siamo sudati e accaldati, e del crop nessuna traccia. Ci dividiamo: uno procede verso sud e l’altro verso est, il primo che lo vede chiama l’altro. Ma dopo poche decine di metri la sorpresa: ci finiamo praticamente dentro.
È talmente grande che ci finiamo dentro assieme anche se siamo distanti duecento metri circa. Sembra largo quanto due o tre campi da calcio. Ci siamo solo noi li, anche se non sembra. Le cicale tacciono di colpo, si ode solo il fruscio dei chicchi di grano sfregati dal vento. Ecco la sensazione che conosciamo bene, quella di essere osservati, spiati da qualche forza invisibile. Possibile che chi ha creato questo bellissimo crop sia ancora lì? Ci scrolliamo di dosso la sensazione. Prendiamo dei campioni, analizziamo le spighe. Sembra un cerchio autentico, non fatto dall’uomo. Le proporzioni sono perfette, nonostante le dimensioni. Un semicerchio composto da 22 cerchi che abbraccia un’altro semicerchio fatto di 33 cerchi. Dal semicerchio esterno si diparte un prolungamento che penetra in quello inferiore, quasi a rappresentare una sorta di inseminazione. O almeno questa è l’impressione che ci dà, eppure starci dentro è un’altra cosa, è come camminare tra le navate di una cattedrale antica ed evanescente, che tra pochi giorni sarà trebbiata e scomparirà. Quel senso di sacro e immanente però permane, quella sensazione che una misteriosa energia non umana si sia palesata per raccontarci una storia antica e futura, incisa nel grano del Wiltshire. Ecco forse il vero senso di questo fenomeno, quello di portarti al centro di uno sterminato campo di grano perso nel nulla, a contatto con la natura, felice senza sapere esattamente perché, illuminato da un sole che ha visto più cose di quelle che potrà mai raccontare.
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